giovedì 30 dicembre 2010

"Nirvana: Taking Punk to the Masses": omaggio ai creatori del grunge

16 anni dopo la tragica morte di Kurt Cobain, Seattle celebra il talento di uno dei suoi figli. Il genio ribelle di Cobain continua a vivere nelle canzoni che hanno segnato la storia del rock e della nascita di un genere, il grunge, che proprio con i Nirvana ha conosciuto il suo apice. E da Aprile 2011 e per ben 2 anni la città che ha dato i natali a Kurt e a molti altri artisti importanti (tra cui Bing Crosby, Pearl Jam e Kingsman), ospiterà una mostra dedicata proprio a quei gruppi che hanno mosso i primi passi nella scena di Seattle. Non poteva certo mancare quindi una sezione dedicata completamente ai Nirvana, e soprattutto a Kurt, legato da un amore-odio alla cittadina e alla provincia da cui proveniva. Un viaggio a ritroso nel tempo, per rivivere attraverso immagini e memorabilia gli anni di incredibile creatività di un ragazzo semplice e troppo fragile per sopportare il peso del mondo: "Più pesante del cielo" titolava una bellissima biografia su Kurt scritta da C.Cross alcuni anni fa.

Per tutti i nostalgici e per coloro che hanno amato e continuano ad amare i Nirvana, Seattle è sicuramente una delle mete ideali e visitare la mostra rende il tutto ancora più affascinante. Tra i cimeli imperdibili si trovano infatti il vecchio pullover giallo di Kurt diventato un po' la sua divisa degli anni '90, i pezzi della prima mitica chitarra che ruppe durante un concerto, foto ed oggetti vari e alcuni manoscritti tra cui i testi originali di "Spank thru" e "Floyd the barber", per un totale di circa 200 oggetti culto per tutti i fan del gruppo. Una collezione unica ed imperdibile, a cui hanno contribuito i vecchi amici e i familiari di Cobain, che ci restituisce un pezzo di lui e che vuole celebrare il ribelle del rock vent'anni dopo la pubblicazione di Nevermind, l'album che ha fatto conoscere al mondo il genio di Kurt. Con quei capelli biondi e il viso da angelo tormentato, con i suoi fantasmi, i problemi di droga, i tormenti e le inquietudini, Cobain più di ogni altro ha saputo dare voce e farsi messaggero della disperazione di un'intera generazione. Un grido di dolore che sembra non esaurirsi mai, che non è finito nemmeno con la morte prematura del suo principale interprete, ma che al contrario sopravvive ancora forte di quell'inquietudine che tutti noi almeno una volta abbiamo provato.


E allora sarà il nostro modo di renderti omaggio Kurt, la voce roca nelle orecchie a ricordarci la tua fugace apparizione in questo mondo e la forza delle tue parole.





Cinderella

venerdì 3 dicembre 2010

Sognando un'università migliore

E' un inverno caldo sul fronte universitario.. La contestatissima riforma Gelmini ormai è diventata realtà e sicuramente le proteste non accenneranno a diminuire, anzi.
Ogni Ministro dell'Istruzione ciclicamente propone una riforma che vorrebbe salvare la scuola italiana, e ogni volta puntualmente scattano le dovute proteste. Eppure non ricordavo una mobilitazione pari a quella che ha scatenato Maria Stella Gelmini: cortei, striscioni, occupazioni, fino alla novità della conquista di tetti vari da cui gli studenti manifestano tutto il loro scontento.
I punti più scottanti della riforma riguardano il pesante taglio ai fondi destinati alle borse di studio ed alla ricerca e l'incremento del precariato per i ricercatori, ma il problema vero ed urgente è dato dallo stato generale dell'università italiana. Programmi accademici polverosi, baroni e privilegi intoccabili, sostegno economico e riconoscimento del merito inesistenti, mancanza di competitività degli istituti.. Potrei continuare per ore fidatevi, ma mi limito ai problemi più urgenti ed evidenti. Il dato allarmante è che non solo noi studenti ci siamo accorti da tempo dello stato delle cose, ma da alcuni tempi sembra che anche tra gli accademici qualcosa si stia muovendo: penso a Roberto Perotti e Pier Luigi Celli per esempio.
Il primo, laureato al Mit di Boston in Economia, ha insegnato per dieci anni alla Columbia University ottenendo una cattedra a vita, per poi decidere di tornare in Italia ed insegnare alla Bocconi. Proprio in quelle aule (per altro una delle poche Università italiane di un certo prestigio) ha capito il disagio dell'istituzione accademica e lo ha denunciato in libro in cui denuncia carriere bloccate, mancanza di meritocrazia, fuga dei cervelli. Un "duro atto di accusa contro l'università italiana", vista ed analizzata dall'interno, sicuramente amaro ma che lascia spazio a proposte e spunti per riforme concrete. Forse i vari ministri dovrebbero partire da qui: entrare davvero in quelle aule, conoscere le persone che occupano quei banchi e che credono ancora nel valore dell'istruzione, proporre soluzioni utili e concrete, che non vengano distrutte chi prenderà la loro poltrona di comando.
Amche Celli conosce bene il contesto accademico, nello specifico la Luiss di Roma, ed è entrato nell'occhio del ciclone con una lettera aperta indirizzata al figlio nella quale consiglia il figlio di lasciare il Bel Paese, dove difficilmente avrà la possibilità di dimostrare il proprio valore. Ovviamente le polemiche si sono scatenate, ma in fondo cosa ha detto di tanto assurdo Celli?! Forse in questo nostro Paese è possibile avere tutti le stesse possibilità, indipendentemente dal luogo da cui proveniamo o dal numero di zeri nel nostro conto in banca? Ed è una cosa giusta studiare faticosamente, spesso senza percepire alcun aiuto economico dallo Stato, prendere una laurea, poi una specializzazione, magari un master e un dottorato per finire con l' accettare un lavoro qualunque, purchè ci dia un minimo di indipendenza economica anche se non si avvicina neanche al campo di studi per cui tanto abbiamo faticato?
Proprio il nostro Paese, che ha dato i natali ad uomini e donne che si sono distinti per il loro acume e la loro cultura, con le nostre università antichissime un tempo tanto prestigiose ed ora così arcaiche e polverose. La mancanza di competitività degli istituti e il desiderio di veder riconosciuto il proprio valore, ci spingono sempre più a cercare altrove il nostro posto, ma soprattutto ci spingono a salire su quei tetti e gridare a chi ci guarda da laggiù tutta la nostra rabbia e il nostro orgoglio.